LA PSICOTERAPIA CON PREADOLESCENTI E ADOLESCENTI

L’adolescenza è una fase di grandi trasformazioni, durante la quale il giovane sperimenta profondi cambiamenti psicologici e fisici. L’adolescente si trova ad affrontare la costruzione della propria identità, passando da una condizione di dipendenza a una ricerca di indipendenza, inizia un processo di emancipazione dalla famiglia, con un forte desiderio di integrarsi e sentirsi parte del gruppo di pari.

Le emozioni diventano più intense e le relazioni con i coetanei assumono un’importanza centrale. Inoltre, si sviluppa la capacità di riflessione e di auto-consapevolezza, ma anche una maggiore vulnerabilità emotiva, che può portare a momenti di conflitto interiore.

Capita che, in questo momento complesso, i ragazzi si trovano ad affrontare difficoltà legate alla gestione delle emozioni, dei conflitti interiori e delle dinamiche familiari o scolastiche. 

In questo caso, quando le difficoltà bloccano l’adolescente impedendogli  di accedere alle sue risorse, può essere utile l’incontro con un professionista che offra uno  spazio sicuro e accogliente, dove il ragazzo possa sentirsi ascoltato, compreso e sostenuto, dove possa sentirsi libero di esprimersi senza giudizio e che lo supporti nel delicato momento dello sviluppo e lo conduca ad  una maggiore consapevolezza di sé, una migliore gestione delle difficoltà quotidiane e a riscoprire le sue risorse. 

Nella nostra idea di presa in carico, l’attenzione a tutto il contesto di vita dell’adolescente è fondamentale.

Per questo, all’intervento con l’adolescente, affianchiamo l’intervento di supporto con i genitori, volto a sostenere le loro competenze genitoriali e l’intervento con le scuole, i servizi sociali e le altre agenzie del territorio coinvolte nella presa in carico del ragazzo.

Dott.ssa Domenica Mastromattei, Psicologa e Psicoterapeuta

VALE LA PENA

Anni fa era molto letta, su un giornale femminile una certa Donna Letizia (per altro valente giornalista) che con molto savoir-faire, buon senso, sottile umorismo e senso del decoro rispondeva alle lettere delle lettrici, soprattutto, rispetto alle vicende di cuore e di stile. Ho l’impressione che oggi si confonda la psicoterapia con quello scambio di consigli. Ho sentito dire: “così avrò un parere diverso su quello che mi capita e come comportarmi” oppure “con la psicoterapia smetterò di fumare…riuscirò a dimagrire…non avrò l’ennesima relazione tossica….ecc…”
Questo concetto di psicoterapia è estremamente riduttivo anzi sbagliato.
La psicoterapia non è un percorso di cambiamento ma un processo di trasformazione, maturazione, scioglimento della corazza, conoscenza di sé. La psicoterapia è un processo che richiede lacrime e sangue per scovare le ferite antiche e recenti, le ferite che ci hanno condizionato che hanno determinato le nostre modalità di difesa e attacco, le nostre strutture di pensiero e gli ingorghi di emozioni, per curarle e infine lasciarle definitivamente ormai cicatrizzate nella memoria come esperienze non più dolorose.
So che fare una vera psicoterapia è faticoso, doloroso (e anche caro!) ma vale davvero la pena se teniamo alla nostra felicità.
Mi sono chiesta spesso quale sia l’elemento più importante quando si deve scegliere un terapeuta, al di là della scuola di appartenenza che sarebbe utile conoscere, sono sicura che ciò che garantisce la riuscita di una terapia sia la relazione tra le persone coinvolte. È indispensabile creare un campo fra i due in cui ci sia comprensione, interesse ed empatia al di là del giudizio e della simpatia. Se questo non è possibile, e a volte succede, è meglio lasciar perdere, cambiare. Soprattutto lo psicoterapeuta deve essere sempre consapevole dei suoi sentimenti, limiti e rischi di collusione.

Dott.ssa Margherita Tosi

Mi fido di te!

Fiducia è una delle poche parole indispensabili che conosco. 

Abita vicino al cuore ed è l’inizio e la fine di ogni viaggio. 

Si può declinare in tutti i modi ma il risultato di fiducia è sempre positivo. Ha una qualità leggera, sfuggente, restia nel fare sfoggio di sé. È difficile vederla dipinta quotidianamente nei volti delle persone perché il tempo la nasconde, per poi vederla riaffiorare improvvisamente nello stupore, nei sorrisi aperti, nella luminosità dello sguardo. 

Nutrire la fiducia, a mio parere, è un buon modo per rimanere in contatto con l’umanità, con la propria capacità di tradurre il sentire in parole, creatività, giocosità, flessibilità, amore, gentilezza. 

“Ora nella natura normale del bambino si mostra come uno dei più meravigliosi caratteri la fiducia in sé stesso, la sicurezza delle proprie azioni.” M. Montessori

Quando nasce la fiducia e come si può mantenere viva nel tempo?

La fiducia ha una natura molto delicata e la sua presenza dipende totalmente dall’ambiente, poiché non è innata, ma frutto della costruzione relazionale e della storia personale, si esprime e dipende dall’incontro con l’altro e con l’ambiente. 

Quando il corpo si sente al sicuro si espande, rimane ricettivo nei confronti degli stimoli che trasformano le sensazioni in opportunità di crescita personale. 

Quando un bambino si sente accolto e accudito può imparare perché l’essere umano è naturalmente predisposto alla curiosità, ricerca, apertura, creatività. 

La paura ha invece una natura e un movimento differente: chiude, congela, accresce l’allerta e la rinuncia. Compare rigidità nel movimento, pensiero, emozioni.

Per imparare ad avere fiducia nelle sue capacità il bambino deve fare e rifare, per tanto tempo. Ha bisogno di sentirsi visto dai suoi genitori e dagli adulti che lo circondano. Deve percepire nel suo nucleo familiare una base sicura a cui tornare ogni volta che ne senta la necessità. Sembra quasi si fermi per ricaricare le pile prima di lanciarsi in una nuova scoperta, e forse è così. 

Mi fermo qui vicino a te solo per un po’, poi riparto. 

Il momento della sosta prima di ogni partenza deve essere serena, accompagnata da uno sguardo amorevole e attento ma non apprensivo. A volte è difficile tenere a bada la paura che il bambino si faccia male ma il corpo, per essere vissuto e compreso, deve fare l’esperienza del movimento: cadere, riprendere a muoversi e forse cadere ancora. 

Se è possibile calcolare il pericolo allora si può fare un bel respiro e lasciare che il bambino si  sperimenti nell’ambiente che dovrà imparare a conoscere e modificare quando ne avrà bisogno. 

L’adulto ha un compito molto importante durante queste ricerche e scoperte del bambino che sarebbe bene non dimenticare: guardare il bambino prima da vicino, poi mettendo maggiore distanza, raccontandogli con lo sguardo, che si, bisogna stare attenti nel salto e nella corsa, ma sottolineando quanto sia importante ciò che fa, i suoi progressi, le sue capacità che migliorano giorno dopo giorno. 

Potremmo dare un nome a tutto questo processo: fiducia!

Quando penso a come raccontare la fiducia mi viene in mente la Storia della Buonanotte, Bravo, piccolo Orso. È ormai introvabile e proverò a raccontarla per come la ricordo. 

Grande Orso e Piccolo Orso decidono di fare una passeggiata nel bosco. Piccolo Orso corre avanti e richiama costantemente l’attenzione di Grande Orso che più lentamente segue i suoi passi senza perderlo di vista, sereno. Piccolo Orso desidera provare ogni cosa: salta sul ramo, fa le capriole, e continua a cercare l’attenzione di Grande Orso: “guardami! … salgo sul ramo, ora sull’altro.” 

Grande Orso lo segue divertito, a distanza, quasi con noncuranza. 

Piccolo Orso si avvicina al fiume e sempre ad alta voce dice che lo attraverserà camminando sui sassi: un passo, poi un altro….e…Splash! 

Cade nell’acqua. 

Grande Orso si avvicina, entra in acqua lo prende in braccio e lo stringe a sé dicendogli che è meglio tornare alla caverna orsa. 

Piccolo Orso si lascia asciugare tranquillo, e parlando dell’accaduto Grande Orso chiede a Piccolo Orso se si è spaventato cadendo nel fiume. Piccolo Orso annuisce ma aggiunge che sapeva che Grande Orso era vicino e l’avrebbe aiutato. 

Grande Orso, sistemando le coperte del lettino, gli risponde che sarà accanto a lui.

Sempre. 

La fiducia è come camminare insieme su una strada a volte accidentata, nella quale già sappiamo di non poter eliminare tutti gli ostacoli, pur tuttavia è importante dire, pensare e sentire che ci si può fidare delle capacità del proprio bambino.

Mi fido di te.

Mara Salvador

Psicomotricità Educativa a scuola

L’ingresso alla scuola primaria segna un passaggio importante nella crescita del bambino che si lascia alle spalle le attività e i ritmi della scuola dell’infanzia, in cui l’educatrice era il sostituto delle figure di riferimento. È sempre meno interessato ai giochi e alle attività dei piccoli mentre si confronta con ritmi scolastici ed extra-scolastici sempre più veloci e impegnativi.

Anche la vita comunitaria all’interno della scuola primaria è molto diversa rispetto a quella della scuola dell’infanzia, in cui il tempo era scandito da attività semplici intervallate da lunghe pause di gioco spontaneo.

La postura della scuola primaria è differente e per alcuni  bambini è un grande impegno.

Le difficoltà emergono soprattutto quando nel bambino le autonomie non sono obiettivi raggiunti e consolidati e il desiderio di rimanere piccolo occupa molto spazio nelle sue emozioni, esprimendo in modi diversi la fatica che richiede la separazione da mamma e papà, ad esempio allungando molto i tempi della vestizione mattutina e generando quotidiani conflitti con i genitori.

Nei racconti spontanei dei bambini si ritrovano tutti i timori della crescita: paura, incertezza, fragilità e tante domande a cui è difficile dare risposta.

Salutare la prima parte dell’infanzia è complesso e i bambini hanno bisogno del sostegno e della rassicurazione degli adulti per verbalizzare e significare tutto ciò che è loro poco chiaro, arrivare infine, ad un decentramento delle emozioni che invadono il pensiero quando c’è molta paura dell’ignoto.  

Per superare le difficoltà di questo periodo complesso è importante che gli adulti si interessino ai cambiamenti dei bambini, ai loro vissuti quotidiani, aiutandoli a raccontare ciò che rimane nei ricordi delle attività scolastiche. Mettere parole nei pensieri è utile per creare ordine, imparare a pensare, trovare soluzioni ai problemi in modo creativo, come sanno fare i bambini di quest’età, a metà strada fra istinto e regole, fra emozioni e desiderio di riconoscersi uguali ai coetanei.

Lo sguardo del bambino che prima era rivolto prevalentemente verso i genitori, ora, è aperto verso uno spazio più ampio che include l’ambiente, i bambini con cui si confronta in giochi e attività diverse rispetto al passato, ricchi di sfide e regole, ascoltando il desiderio di superare i limiti con cui si è finora confrontato.

Si gioca insieme per imparare a conoscersi, abitare in un ambiente sociale in cui è necessario l’ascolto di sé, dell’altro nella relazione, nella gestione delle regole e soprattutto nel confronto con il limite.

Si impara insieme ad essere sé stessi.

E tutto avviene in un luogo, la scuola, in cui è necessario condividere con gli altri, in modo autonomo, spazi, tempo delle attività e tempo degli adulti che a volte il bambino vorrebbe avere tutti per sé.

Come si impara a stare con gli altri?

Se dovessi rispondere da Psicomotricista direi, giocando.

Mara Salavador, Psicomotricista Neurofunzionale Educativa (L.4-2013)

Principio del Minimo stimolo

Da tempo la pratica clinica sia medica che psicologica ha rilevato l’importanza essenziale dei piccoli stimoli per rafforzare la capacità di autoregolazione e autoriparazione dell’organismo vivente. La relazione tra stimolo ricevuto da un organismo vivente e la conseguente risposta è un elemento fondamentale per la comprensione della sua dinamica profonda. Le terapie convenzionali sia mediche che psicologiche si fondano, anche se in modo non sempre consapevole, sulla opinione che la risposta di un organismo vivente sia proporzionale allo stimolo ricevuto. Ci sono importanti tendenze nella storia delle terapie che attribuiscono un ruolo decisivo per la riorganizzazione di un organismo a stimoli lievissimi. È questo il caso della terapia del tocco a farfalla elaborato da Eva Reich.
Uno degli eventi importanti per la vita del soggetto può essere proprio la sua connessione emotiva risonante con un’esperienza positiva avvenuta alla nascita quale è il minimo stimolo del tocco leggero proposto da Eva Reich. Attraverso questo tocco leggero si stabilisce il ponte risonante del nuovo nato con la madre e più in generale con la sua genealogia, mediatrice del rapporto con l’intero genere umano. Dott.ssa Margherita Tosi, Psicologa-Psicoterapeuta